RAPPORTO TRA FILOSOFIA E MUSICA
È sufficiente accostare qualche citazione per cogliere quanto il legame tra musica e
filosofia sia stato complesso e vitale nei secoli e sia ancora oggi un inesauribile stimolo
a feconde e nuove riflessioni. Discipline apparentemente distanti, sin dalle origini si sono
cercate, incontrate e sovrapposte, con frequenti incursioni in entrambi i sensi: i filosofi
hanno riflettuto sulla musica e attraverso la musica, i musicisti (e i musicologi) hanno
cercato nei sistemi di pensiero elaborati dalla filosofia un quadro di riferimento per la propria
esperienza artistica o la propria elaborazione teorica.
MUSICA E FILOSOFIA NELL'ANTICA GRECIA
Due sono gli aspetti del fenomeno musicale che finiscono sotto la lente di Pitagora di
Samo (circa 560-480 a.C.) e della sua scuola, fortemente intrecciati tra loro:
l’organizzazione matematica della musica e i suoi
riflessi sul
comportamento e la condotta di vita degli uomini. Nello studio dei fenomeni
acustici i Pitagorici evidenziarono come gli intervalli fondamentali di ottava, quinta e
quarta potessero essere espressi da rapporti matematici semplici (1:2, 2:3, 3:4), leggendo
nel dato fisico la conferma che il numero costituiva il superamento e l’armonizzazione
delle contraddizioni del reale. Il dogma pitagorico, per quanto matematicamente discutibile,
si radicò a tal punto da farsi metro di valutazione degli effetti della musica sulle
persone, determinando a quale affetto corrispondesse ciascuna armonia.
Una visione “conservatrice” è fatta propria anche da Platone,
il quale si occupa della musica in numerosi dialoghi, pervenendo nella Repubblica
ad una sistemazione organica. Il filosofo ateniese – che nella sua città ideale
identifica nella musica la palestra dell’anima, così come la ginnastica è
quella del corpo – sceglie un’impostazione molto restrittiva, ammettendo solo
due modi musicali, il Dorico e il Frigio. Più in generale, Platone ha nei confronti
della musica una posizione ambivalente: da un lato la considera un pilastro della struttura
razionale della realtà – nella forma cosmica dell’armonia delle sfere e
in quella umana dell’elevazione spirituale dell’individuo e della
collettività – dall’altro la ritiene, nelle forme strumentali che
considera più volgari, come un potenziale elemento di disordine, un prevalere
della sottomissione ai piaceri sulla ricerca della virtù.
Opinioni meno unilateralmente negative riguardo la dimensione edonistica della pratica
musicale si manifestano già con Aristotele, che evita di
considerare i modi musicali
totalmente positivi o negativi e preferisce evidenziarne le caratteristiche, ritornando sul
potere catartico della musica come medicina dell’anima. La musica rimane tuttavia
oggetto di speculazione e non cadono i pregiudizi nei riguardi dei musicisti professionisti,
considerati artigiani volgari e sin troppo intraprendenti.
Per il superamento di tali pregiudizi bisognerà attendere Aristosseno di Taranto
(IV secolo a.C.), capace di ribaltare il rapporto di subordinazione della
pratica musicale
alle astrazioni speculative e di riportare al centro del dibattito il fatto sonoro,
così come dato nella combinazione tra percezione sensibile e memoria.
MUSICA E FILOSOFIA NEL MEDIOEVO
Tuttavia, il De institutione musica di Boezio consegna all’Occidente
proprio l’indagine sulla musica strumentale, oggetto di studio matematico in relazione
alla natura proporzionale delle consonanze, che attraverso ulteriori apporti di Calcidio,
Macrobio e dello stesso Agostino influenzerà l’approccio alla speculazione
musicale successiva (musica e filosoffia). In età
carolingia, e fino
almeno al secolo XI, lo sviluppo del canto liturgico e della sua notazione
indirizza il recupero del pensiero musicale boeziano alla fondazione di una dimensione scientifica
della musica (scientia musicae), sorta dall’esigenza di una giustificazione teorica,
etica ed estetica del canto della chiesa. I monaci e gli ecclesiastici eruditi sono quindi spinti
a inquadrare i problemi speculativi in ambito musicale facendo riferimento a una specifica prassi musicale, la quale viene anzitutto relazionata
all’armonia cosmica e dei cori angelici e all’armonia del corpo e dell’anima umana.
MUSICA E FILOSOFIA NELL'EPOCA DEI LUMI
Si apre quindi un nuovo spazio per la riflessione filosofica sulla musica, spazio che viene per la prima volta
illuminato dall’opera di Jean-Baptiste Dubos (1670-1742). Dubos libera la musica dall’inquadramento
matematico e razionalizzante, considerandola nelle sue manifestazioni sensibili e dunque
mettendo al centro
della sua analisi la pratica musicale strumentale e vocale. Esprimendo la
convinzione che la musica sia imitazione della realtà e abbia per vocazione il ruolo di potenziare
emotivamente la parola poetica, Dubos scardina la visione filosofica della musica come espressione
dell’ordine razionale delle cose e pone l’accento sulla ricezione dell’esperienza
musicale, dominata dal sentimento assai più che dalla ragione; il gusto estetico, definito dal
piacere dell’ascolto e temperato dall’esperienza, diventa quindi il termometro del valore
artistico di un’opera musicale.
SCHOPENHAUER: TRA FILOSOFIA E MUSICA
I capisaldi del pensiero di Schopenhauer si fondano sui seguenti elementi: per lui la vita è continuo dolore, perché il dolore rappresenta la condizione esistenziale dell'uomo. Oltre al dolore, vi è il piacere e la noia, ma ciò comporta che la vita umana sia rappresentabile come un pendolo, che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, momenti intervallati da fugaci istanti di piacere.
Dalla constatazione che l’essere è dolore, in quanto l’universo è solo “una volontà inappagata”, la sofferenza rappresenta la legge immanente (quindi connaturata) di questo mondo. Proprio perché la volontà di vivere è sofferenza in quanto è desiderio e l’uomo per natura è una creatura mossa dalla brama verso ogni cosa, l'intero universo degli individui è avvolto dal dolore (da qui il pessimismo cosmico che pervade la filosofia di Schopenhauer).
Secondo Schopenhauer esistono tre possibili vie per liberarsi dal giogo della volontà di vivere e quindi del dolore:l’arte, la morale e l'ascesi.
Nell’arte l’uomo si sottrae in parte alla condizione di disperazione, prodotta dalla consapevolezza di essere sottoposti alla “volontà di vivere”. Però l’arte non ha, secondo Schopenhauer, la capacità di redimere l’uomo per sempre dalla vita, ma riesce solamente a porlo oltre essa soltanto per brevi istanti. Infatti la liberazione realizzata dalle varie arti, al culmine delle quali Schopenhauer colloca la musica, coincide unicamente con quei momenti brevi in cui essa ha luogo. La musica e’ l’unica arte che va oltre la materia, l′unica che
può esistere anche senza il mondo. E’ molto profonda, perché’ non
esprime semplicemente un’idea, ma e’ l’essenza stessa del pensiero e
dell’esistenza.
"La musica, dunque, non è affatto, come le altre arti, l’immagine
delle idee, ma è invece immagine della volontà stessa, della quale anche
le idee sono oggettività: perciò l’effetto della musica è tanto piú
potente e penetrante di quello delle altre arti: perché queste esprimono
solo l’ombra, mentre essa esprime l’essenza.(…) [La musica] esprime,
con un linguaggio universalissimo, l’intima essenza, l’in sé del mondo,
che noi, partendo dalla sua piú limpida manifestazione, pensiamo
attraverso il concetto di volontà, e l’esprime in una materia
particolare, cioè con semplici suoni e con la massima determinatezza e
verità; del resto, secondo il mio punto di vista, che mi sforzo di
dimostrare, la filosofia non è nient’altro se non una completa ed esatta
riproduzione ed espressione dell’essenza del mondo, in concetti molto
generali, che soli consentono una visione, in ogni senso sufficiente e
applicabile, di tutta quell’essenza; chi pertanto mi ha seguito ed è
penetrato nel mio pensiero, non troverà tanto paradossale, se affermo
che, ammesso che si potesse dare una spiegazione della musica,
completamente esatta, compiuta e particolareggiata, riprodurre cioè
esattamente in concetti ciò che essa esprime, questa sarebbe senz’altro
una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo in concetti, oppure
qualcosa del tutto simile, e sarebbe cosí la vera filosofia."
(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 52 in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 690-691)
"Posto che si
potesse dare una spiegazione della musica in tutto esatta,compiuta e
addentratesi nei particolari, ossia riprodurre in concetti ciò
ch'ella esprime, questa sarebbe
senz'altro una sufficiente riproduzione e spiegazione del mondo
in concetti; oppure le
equivarrebbe in tutto e sarebbe come la vera filosofia"
VISTAUNT
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