Una mano sul collo

Aprii gli occhi e mi ritrovai ancora una volta chiusa nell'armadio. Colpa del sonnambulismo mi ripetevo tra me e me ogni volta che mi risvegliavo in quell' armadio, quel piccolo e claustrofobico armadio.

Alla vista del sole, passato attravserso le ante dell'armadio, mi alzai frettolosamente, uscii da quel mobile e mi diressi verso il bagno. Entrata, guardandomi allo specchio, notai uno strano segno rosso sul collo, come una mano che con forza cricondava la mia gola. Era la prima volta che notavo una cosa del genere.

Lasciai perdere, mi feci una doccia e tornai nella mia stanza. Mi parve di vedere un'ombra uscire da qust'ultima, un'ombra alta e magra. basta, è solo la mia fervida immaginazione che si impossessa e distroce la mia visione. Mi vestii e scesi per fare colazione. Al piano di sotto mia madre con aria dubbiosa e riflessiva mi stava aspettando tenedo in mano una fotografia. Quando mi vide nascose quella piccola istantanea dietro di se e mi accolse con un caloroso abbraccio nella cucina. Poi mi allontanò dal suo petto e con tono preoccupato mi chiese la motivazione per la quale ormai da quattro mattine (il numero delle stesse mattine nelle quali mi risvegliavo nell'armadio) avessi impresso sul collo il segno di una mano. Non risposi, non mi ero resa conto fino a questa mattina, quando mi sono guardata allo specchio, di quell'orma impressa sulla mia esile gola. 

Fortunatamente quella mattina la scuola era chiusa a causa di un'allagamento ai piani inferiori, quindi rimasi insime a mia madre a disutere, per lo più ad immaginare, cosa sucedesse durante la notte. Lei iniziò a pormi domande su domande alle quali non trovai risposte. Prima che me ne potesse chiedere un'altra le domandai cosa ci fosse in quella foto che io non potevo vedere. Il suo dolce e colorito viso, all'udire delle parole uscite dalla mia bocca, divnne bianco come il latte ed i suoi muscoli si contrassero in un'espressione quasi spaventata. Dopo qualche istante ritornò in se, mi guardò, prese la foto e me la mostrò. Su di questa era ritratto un'uomo, alto, mingherlino, con delle mani particolarmente grandi. Dietro l'immagine una scritta: "James". Mia madre esitò a parlare, poi ricalcando delicatamente la scritta incisa sulla foto, identificò quell'uomo come mio padre. Mi disse che quel giorno, il giorno del compleanno di James, aveva ritrovato quella foto sul davansale della cucina con vicino un bigliettino di auguri. Guardai attentamente l'uomo, la sua ombra nella foto coincideva con quella che avevo scorso quella mattina, iniziai ad avere difficoltà a respirare, la mia vista si annebbiò e in seguito non vidi più nulla.

Aprii gli occhi e mi ritrovai ancora una volta chiusa nell'armadio.

 


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